Secondo un recente studio della banca svizzera UBS, gli investimenti in tutta la catena del valore connessa all’idrogeno, dalla produzione alle infrastrutture per la distribuzione e lo stoccaggio, raggiungeranno da qui al 2050 la cifra quasi stellare di 140mila miliardi di dollari.
I prezzi della produzione dell’ idrogeno saranno progressivamente e sensibilmente decrescenti: caleranno del 75% già alla fine di questo decennio e poi di un altro 50% entro la metà del secolo. La UBS ne è convinta.
Lo studio cerca di interpretare con maggior possibile accuratezza le differenze fra Paese e Paese nell’adozione dell’idrogeno come fonte energetica, i settori in cui sarà davvero conveniente utilizzarlo (il primo della lista sono i trasporti pesanti via terra, oggi fra i più inquinanti), le migliori aree produttive, l’adozione anche in settori oggi impensati quali l’alluminio “leggero”, le reali capacità e opportunità locali per adottarlo come fonte energetica.
Innanzitutto, UBS si dice d’accordo con quanto recentemente affermato dall’International Energy Agency, e cioè che il numero di brevetti per le tecnologie che coinvolgono l’idrogeno (comprese batterie e ricattura della CO2) supererà già il prossimo anno quelli inerenti i combustibili fossili. Del resto, l’indice S&P Global Clean Tech Index (dove sono presenti in massa le aziende dell’idrogeno) ha generato negli ultimi tre anni ritorni finanziari di oltre il 40%, più del doppio rispetto al benchmark S&P 500. E non a caso gli stessi fondi d’investimento che hanno fatto la fortuna con aziende come Uber, Instagram e Twitter, ora stanno puntando con decisione sui nuovi comparti come appunto l’idrogeno. Tutto questo sarebbe favorito naturalmente dall’adozione globale di una vera e abbastanza pesante carbon tax.
UBS guarda con particolare attenzione alla Cina, fino ad ora pecora nera di qualsiasi politica di decarbonizzazione. E invece Pechino, secondo la banca svizzera, ha tutte le potenzialità – e addirittura anche la volontà – per costruire un’economia di autosufficienza energetica basata proprio sull’idrogeno. Il 100% dell’autosufficienza verrà raggiunto, in questo scenario, magari non proprio nel 2050 ma una decina d’anni più tardi, però è molto significativo che ci sia una possibilità realistica. Particolarmente virtuosa sarà l’interazione con l’energia solare ed eolica già prodotta in gran quantità nella Repubblica Popolare, cruciale per realizzare l’idrogeno “verde” (o “blu” a seconda di alcune minime variazioni) che è quello ambientalmente più compatibile.
Proprio in questi giorni, come abbiamo riferito, il governatorato della Mongolia interna ha dato il via libera, con il beneplacito del governo di Pechino, alla costruzione di un complesso di impianti in grado di utilizzare tale tecnologia “verde”. Entreranno in servizio a metà 2023, produrranno 70mila tonnellate di idrogeno e permetteranno di risparmiare quasi 75 milioni di litri di benzina e altri derivati dal petrolio. Con una capacità produttiva annunciata di 465 MW, sarà il maggior complesso per la produzione di idrogeno in Cina e uno dei più importanti al mondo. La “palma” spettava a un’iniziativa di Sinopec (tramite lo Ningxia Baofeng Energy Group) che sta per completare un impianto di elettrolisi da 150 MW alimentato a energia solare a fianco di uno dei suoi stabilimenti petrolchimici. Anche il China Baowu Steel Group ha annunciato piani per un complesso da 1,5 GW destinato ad alimentare l’industria dell’acciaio e dell’alluminio “verdi”, ma non ha reso noto il timing.
Ma l’intera Asia, scrive il rapporto della banca svizzera, è una sorta di laboratorio per la valorizzazione della nuova fonte. Entro il 2060, calcola l’UBS, il mercato dell’idrogeno nell’est riguarderà 300 milioni di tonnellate di tonnellate equivalenti l’anno, fra le nove e le dieci volte i volumi attuali, che corrisponde al 15% degli attuali consumi primari di energia.
Le iniziative più importanti, si legge nel documento, sono in Giappone, Taiwan, Corea del Sud e India. Nell’intera area asiatica dell’est, Cina e Giappone in testa, l’idrogeno “pulito” (blu e verde) entro il 2060 servirà per il 30% dei trasporti, il 17% della generazione elettrica e il 20% dell’industria dell’acciaio. Ma già nel 2050 il valore della produzione di idrogeno in Cina toccherà i 2 trilioni di dollari.
Quanto al resto del mondo, in America dove è più consolidata la perdurante presenza del complesso delle energie tradizionali, ci si muove con una certa prudenza, e la domanda di idrogeno coprirà una quota fra l’1 e il 14% del mix energetico nel 2050, fra le 22 e le 41 tonnellate annue. In Europa invece si sta procedendo con determinazione sulla strada giusta, come del resto è codificato, spiega l’Ubs, nell’European Green Deal con i relativi finanziamenti, dove è scritto a chiare lettere il ruolo fondamentale dell’idrogeno sia nelle tecniche di cattura dell’anidride carbonica sia nell’utilizzo come fonte energetica.
L’obiettivo è sostituire a fine periodo (2050), scrive il report dell’UBS confermando quanto già affermato dall’Unione europea, una quota fra il 13 e il 14%% del mix energetico (si tratta soprattutto di sostituire l’attuale energia alimentata a gas naturale) con l’idrogeno, rispetto al 2% (e forse qualcosa di meno) attuale. Dovunque fioriscono iniziative. Ci sono i progetti della Snam per l’Italia, per esempio, e c’è ora l’annuncio del governo britannico di un piano di investimenti diretto di 900 milioni di sterline che auspicabilmente attrarrà 4 miliardi di investimenti privati, il tutto destinato a sostituire con l’idrogeno l’attuale fornitura di combustibili fossili (compreso il carbone) per la cucina e il riscaldamento di 3 milioni di famiglie, entro il 2030. La relazione di accompagnamento al piano finanziario sostiene che l’idrogeno potrebbe coprire il 20-35% dei consumi energetici britannici entro il 2050.
Tutto questo, conclude il piano, non è che l’inizio. In nessun settore energetico come l’idrogeno è così viva la ricerca tecnologica per arrivare a nuove e più economiche tecniche di estrazione, produzione, stoccaggio, utilizzo come fonte energetica. Di sicuro ci sono la cruciale funzione di abbattimento delle emissioni, e poi l’opportunità di stimolare e finanziare anche da parte pubblica sempre nuovi programmi di ricerca e sviluppo.