La Redazione, in collaborazione con ISPI
L’Europa è pronta per lanciare la sua ‘Rivoluzione verde’: oggi la Commissione europea ha presentato “Fit for 55”, un ambizioso pacchetto di misure finalizzate a ridurre del 55% le emissioni nette di CO2 entro il 2030 e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Una tabella di marcia aggressiva che impone agli stati membri di ‘tirare la cinghia’ attraverso riforme e una profonda ristrutturazione industriale ed economica. Il pacchetto si compone di 12 proposte legislative che riguardano numerosi settori: oltre all’industria e all’energia, anche agricoltura, rifiuti, importazioni da paesi terzi e soprattutto trasporti: automobili, treni, aerei, navi. Pietra angolare del Deal è il sistema di scambio di quote di emissione (Ets) secondo il principio “chi inquina di più paga di più”. Inoltre – ed è una novità introdotta dopo anni di resistenze – propone l’istituzione di una “carbon tax” alle frontiere europee, per i paesi che non rispettano gli standard ambientali dell’Ue. La commissione propone anche di fissare una data definitiva – possibilmente il 2035 – entro la quale i motori diesel o benzina non potranno più essere immessi sul mercato.
L’obiettivo ultimo è trasformare il volto del vecchio continente, facendo dell’Europa uno standard-setter globale della transizione energetica, e il primo continente a impatto climatico zero entro la metà del secolo. Più facile a dirsi che a farsi?
Chi paga il conto?
Tra gli elementi centrali del piano c’è un forte rilancio dell’Emissions Trading System (Sistema di scambio delle emissioni, Ets), creato nel 2004 ma che negli ultimi anni è stato via via accantonato o diluito dai paesi membri. Finora ha limitato le emissioni di 10.000 impianti nel settore dell’energia elettrica e nell’industria manifatturiera, interessando circa il 40% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Ue. I trasporti rappresentano infatti un quarto delle emissioni totali del blocco, con il trasporto su strada che risulta il maggior contribuente. Ora la Commissione vuole che l’Ets si applichi alla totalità delle emissioni dell’Unione, comprese quelle del settore dei trasporti e del riscaldamento dei privati, con un conseguente aumento dei prezzi. Attorno agli Ets ruota anche il “Meccanismo di aggiustamento carbonio alla frontiera” (Cbam) che tradotto significa dazi sulle importazioni di alcuni prodotti (soprattutto acciaio, alluminio, energia, cemento e fertilizzanti) provenienti da paesi in cui non vi sono sistemi equivalenti all’Ets. La misura, che da un lato punta a proteggere le aziende europee gravate dalle limitazioni dalla concorrenza di paesi che non richiedono standard di sostenibilità ambientale altrettanto elevati, provocherà però un aumento dei prezzi al consumo per i prodotti importati. Per questo, e per evitare che i costi della transizione ricadano principalmente su paesi e persone a basso reddito alimentando risentimento e populismi, la Commissione propone un Fondo sociale per il clima. Almeno metà delle entrate generate dagli Ets dovrebbe finire nel Fondo per sostenere le persone economicamente in difficoltà e compensare i lavoratori interessati dalla chiusura di settori industriali ad alta intensità di carbonio.
La scommessa di von der Leyen?
La rivoluzione verde, destinata ad avere un profondo impatto sulla vita quotidiana dei cittadini europei nei prossimi dieci anni, è considerata il vero banco di prova dell’esecutivo comunitario.
“Voglio dimostrare che è possibile decarbonizzare, preservando il pianeta e al tempo stesso il benessere. Metterò tutto il mio peso e le mie forze affinché ciò accada”, ha detto la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen in un’intervista rilasciata oggi a La Stampa. “Abbiamo già dimostrato di poter separare le emissioni dalla crescita economica: dal 1990 abbiamo ridotto le emissioni del 20% mentre l’economia è cresciuta di oltre il 60%. Ho parlato con l’industria e con le Ong e sono convinta che saremo in grado di fare questo salto in avanti, attraverso l’innovazione e gli investimenti”, insiste la presidente, promotrice del progetto assieme a Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione e commissario per il Green Deal.
Non è un caso che il rilancio del dossier per il Green Deal avvenga in questi giorni: sabato von der Leyen ha annunciato missione compiuta sui vaccini; la pandemia ha oscurato a lungo il piano per la rivoluzione verde ma se la variante Delta spaventa ancora, gli stati membri hanno ormai ricevuto dosi sufficienti per vaccinare almeno il 70% della popolazione adulta entro la fine del mese. È dunque ora di guardare avanti, e di premere per ritagliarsi quel ruolo geopolitico di rilievo a cui l’Europa aspira. Il momento è propizio, come indicato anche dalle conclusioni adottate nei giorni scorsi dal Consiglio affari esteri Ue, per “Un’Europa globalmente connessa”, la risposta europea alla Via della Seta cinese.
Geopolitica del clima?
Il Green Deal europeo non trasformerà solo l’economia, ma modificherà le relazioni con i paesi terzi e quelli vicini, ridefinendo la politica estera del blocco dei 27, con profonde ripercussioni geopolitiche.
Diventare uno standard-setter per la transizione energetica non potrà non avere ricadute nei rapporti con paesi come la Cina, tra i primi inquinatori al mondo, o con paesi produttori ed esportatori di combustibili fossili e persino con alleati di lunga data come gli Stati Uniti. Come spiegano diversi studi ed esperti di settore “oggi circa il 70% del mix energetico dell’Ue continua a dipendere dai combustibili fossili, mentre le rinnovabili rappresentano meno del 15%. Se il Green Deal europeo avrà successo questa situazione cambierà completamente, con evidenti conseguenze anche nel resto del mondo”.
Il calo della domanda di greggio ad esempio – considerato che l’Europa rappresenta circa il 20% delle importazioni mondiali – influenzerebbe inevitabilmente anche il mercato, facendo scendere i prezzi e danneggiando paesi le cui economie dipendono fortemente dalle esportazioni di petrolio, alcuni dei quali potrebbero subire contraccolpi politici.
Per questo, secondo uno studio di Bruegel, “L’Ue deve prepararsi ad aiutare a gestire gli aspetti geopolitici del Green Deal europeo” e magari, per assicurare il successo pieno del Green Deal “Promuovere una piattaforma globale sulla nuova economia dell’azione climatica, per condividere lezioni e best practices”.