
“Il messaggio che voglio dare è chiaro. Il treno dell’idrogeno è partito e la competizione globale è iniziata. L’Italia in questo contesto ha tutto per essere protagonista – la tecnologia, l’industria manifatturiera, la ricerca scientifica e una posizione geografica strategica come ponte energetico tra Mediterraneo ed Europa – ma serve un percorso coerente. Se rinunciamo oggi a fissare gli obiettivi rischiamo di perdere un’opportunità industriale e geopolitica unica che altri paesi non esiteranno a cogliere. Per questo motivo chiediamo con forza che si ripristino nel corso dell’esame parlamentare in linea con la direttiva RED III i target per i combustibili rinnovabili di origine non biologica. Il settore è pronto, lo sono le aziende, la ricerca, ciò che serve è una cornice politica stabile e coraggiosa capace di dare continuità e visione. L’idrogeno non è solo una tecnologia, è un’occasione per ridare all’Italia un ruolo da protagonista nella transizione energetica. Perdere quest’occasione oggi significherebbe rinunciare non solo a un settore industriale ma a un pezzo di futuro“.
Questo l’avvertimento lanciato da Luigi Crema, Vice Presidente di H2IT – Associazione Italiana Idrogeno, durante l’audizione dedicata all’esame dello schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2023/2413 – RED III, tenutasi martedì 4 novembre presso la Camera dei Deputati.
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Luigi Crema ha sottolineato l’importanza per l’Italia di mantenere una strategia allineata agli obiettivi europei, per garantire continuità agli investimenti e rafforzare il ruolo del Paese come polo dell’idrogeno. Ha inoltre evidenziato la necessità di riallinearsi alla Direttiva RED III, reintroducendo i target sui combustibili rinnovabili non biologici, per assicurare stabilità normativa e competitività industriale.
Il motivo dell’udienza
L’incontro è stato convocato a seguito della decisione del governo, lo scorso ottobre, di eliminare dal Decreto legislativo della Direttiva Europea RED III le disposizioni che introducevano quote minime obbligatorie di utilizzo dei RFNBO (Renewable Fuels of Non-Biological Origin) nei settori industriale e dei trasporti. Una scelta inaspettata che ha colto di sorpresa l’intera filiera, allarmando aziende e associazioni di categoria attive nel comparto dei gas tecnici e non solo. Ricordiamo che questi target fissavano, per l’idrogeno industriale, una quota del 42% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, mentre nei trasporti era prevista una quota dell’1% entro il 2030.
La direttiva Europea RED III
“Nel testo attualmente in esame non sono stati recepiti gli articoli 22-bis e 25, che stabiliscono obiettivi vincolanti per l’impiego di idrogeno rinnovabile e di combustibili rinnovabili di origine non biologica nei settori industriale e dei trasporti. Questi articoli, veri e propri pilastri della strategia europea sull’idrogeno, sono stati eliminati durante la deliberazione del Consiglio dei ministri, in quanto legati a una copertura finanziaria basata sui proventi ETS, ritenuta incerta e soggetta a variazioni.
“Comprendiamo chiaramente le ragioni di prudenza contabile ma la conseguenza sostanziale è che l’Italia oggi rischia di non recepire gli obiettivi vincolanti fissati a livello europeo e questo, permettetemi di dirlo con chiarezza, indebolisce la coerenza normativa, la credibilità istituzionale e la fiducia degli investitori che hanno dato avvio a iniziative imprenditoriali impegnando capitali propri facendo affidamento sullo sviluppo del settore. La mancanza di obiettivi chiari per l’idrogeno non è solo una questione tecnica o finanziaria ma una questione di visione industriale e geopolitica. Oggi il nostro paese può contare su una filiera industriale in rapido sviluppo che ha già mobilitato oltre tre miliardi di euro tra PNRR, progetti ed investimenti privati”.
Una filiera a rischio
“In questi anni si è costruito, anche con fatica, un ecosistema industriale che va dalla produzione di elettrolizzatori alle Hydrogen Valleys, dai progetti di ricerca nei centri di eccellenza italiani alle prime applicazioni nel trasporto, nell’industria hard-to-abate. Togliere i riferimenti normativi target di utilizzo significa togliere l’orizzonte a questa filiera, fermare il passo a chi ha già scommesso su una traiettoria chiara di sviluppo e rischiare di bloccare investimenti pubblici e privati già avviati. Molte imprese hanno pianificato piani industriali, investimenti pluriennali, contando sulla coerenza del quadro normativo e se questo quadro cambia improvvisamente si romperà la fiducia nel processo decisionale, nella capacità del paese di mantenere le proprie strategie industriali”.
L’Italia fuori dai giochi?
“In Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, questi target sono già stati recepiti e questo significa che l’Europa, nel suo insieme, si muoverà comunque ma rischia di farlo senza l’Italia. Le conseguenze concrete hanno un rischio che è triplice.
Il primo è il blocco degli investimenti. La filiera industriale italiana dell’idrogeno è oggi una fase fragile ma promettente. Se viene meno la certezza del mercato e degli obiettivi, gli investimenti privati si fermeranno e quelli pubblici stanziati perderanno di efficacia. Senza una domanda regolata, inoltre, i progetti finanziati dal PNRR non troveranno il loro mercato e gli impianti rischiano di restare sotto utilizzati o non sostenibili economicamente.
Secondo, la perdita di credibilità internazionale. L’Italia in questi anni ha costruito una posizione importante nel contesto europeo. E’ partner, ad esempio, del corridoio meridionale della European Hydrogen Backbone, l’infrastruttura che dovrà collegare la produzione di idrogeno verde del Nord Africa con i centri industriali dell’Europa centrale oltre che dell’Italia del nord. Siamo impegnati su questo in accordi con Germania e Austria tra gli altri paesi e la nostra posizione geografica ci consente di diventare un hub strategico per l’importazione e il transito di idrogeno rinnovabile ma se oggi non fissiamo obiettivi interni coerenti questa credibilità rischia di svanire con essa la possibilità di attirare capitali europei e internazionali.
Terzo, il rischio giuridico e di reputazione. La mancata inclusione dei target previsti dalla RED III potrebbe esporre il paese una procedura di infrazione europea. Non si tratterebbe solo di un problema formale ma di un segnale politico negativo sulle capacità dell’Italia di mantenere fede agli impegni europei”.
Cosa occorre fare
“Chiediamo di ripristinare la coerenza con la visione europea di garantire la transizione energetica e che non ci si fermi su un tecnicismo contabile e su questo ci sono possibili soluzioni e pragmatiche. Reintrodurre il target per industrie trasporti come previsto originariamente negli articoli 8 e 15. prevedere coperture flessibili definite fin da subito anche di importo limitato da poter incrementare o rimodulare nel tempo in base alla crescita del mercato e alla disponibilità di ulteriori risorse combinando ETS altri strumenti di sostegno già attivi. Riconoscere anche accanto l’idrogeno rinnovabile le forme a basse emissioni biogenetiche, in coerenza con la neutralità tecnologica della RED III. E soprattutto costruire una governance stabile che permetta alle istituzioni e agli operatori di lavorare in modo coordinato e continuativo.
“Il settore dell’idrogeno bisogno di certezza e continuità e non di nuove misure una tantum. Solo così gli oltre tre miliardi di euro pubblici già stanziati possono generare un moltiplicatore industriale reale e duraturo. Vorrei chiudere poi con uno sguardo un po’ più ampio. Il rapporto dell’Hydrogen Compass (Hydrogen Council) di ottobre 2025 mostra con chiarezza dove stiamo andando. Oggi ci sono oltre 1400 progetti globali legati all’idrogeno. L’Asia guida la corsa con la Cina che investe ormai quasi il doppio dell’Europa seguita da Nord America Europa”.








