Stiamo entrando nell’ultima parte di un anno ricchissimo di novità per UFI Hydrogen, la società del Gruppo UFI specializzata nello sviluppo di tecnologie innovative lungo la catena del valore dell’idrogeno verde. Nel corso del 2025, infatti, l’azienda ha avviato la produzione delle proprie membrane catalizzate MEA (Membrane Electrode Assembly) presso il nuovo stabilimento di 14.000 m² situato a Serravalle, in provincia di Trento.
Qui nel cuore della Valle dell’idrogeno promossa dalla Provincia Autonoma di Trento, il team internazionale di UFI Hydrogen – guidato dall’Amministratore Delegato, Marco Lazzaroni, che ringraziamo per l’intervista – sta compiendo passi in avanti significativi nella riduzione del carico di iridio all’interno delle membrane catalizzate, un obiettivo strategico per abbattere i costi della tecnologia di elettrolisi e accelerarne la competitività su scala industriale.
Ad inizio ottobre l’azienda è diventata partner del fondo Hydrogen Tech Fund, guidato da Aster Capital, il cui obiettivo è quello di raccogliere 150 milioni di euro per sostenere le attività di startup e aziende operanti nel campo dell’idrogeno: dalla produzione tramite elettrolisi alle tecnologie per lo stoccaggio, la compressione elettrochimica, la purificazione, la distribuzione e la miscelazione/demiscelazione con le reti esistenti.
Prima di entrare nel merito della tecnologia MEA, potete raccontare le origini e la visione che hanno portato alla nascita di UFI Hydrogen?

Tutto è iniziato nel 2017 quando il Gruppo UFI ha avviato delle attività di Ricerca e Sviluppo sull’idrogeno focalizzandosi in particolare sull’automotive, settore in cui il gruppo opera sin dall’inizio. In quegli anni, il dibattito era incentrato sulla capacità delle celle a combustibile di contribuire concretamente alla decarbonizzazione del trasporto pesante.
La problematica era legata principalmente alle batterie agli ioni di litio, una tecnologia che a causa del peso poteva appesantire un mezzo articolato, oltre a non garantire una lunga percorrenza. In questo contesto, l’idrogeno rappresentava una soluzione efficace grazie alle sue specifiche caratteristiche tecniche che consente l’elettrificazione del veicolo attraverso l’elettrolisi inversa nelle celle a combustibile.
Da queste prime attività di R&D ha avuto inizio un percorso che – anche grazie alla visione del Chairman Giorgio Girondi, il quale intuì subito le potenzialità dell’idrogeno non solo per il settore automotive – ha portato nel 2023 alla nascita di una società dedicata a questo business, ovvero una NewCo.
Di cosa si occupa la nuova società?
Dalla Ricerca e Sviluppo alla prototipazione per lo scale-up industriale, fino alla produzione su larga scala di membrane catalizzate per l’intera filiera dell’idrogeno – UFI MEA, Membrane Electrode Assembly. UFI Hydrogen si occupa di tutti questi aspetti. Siamo partiti con un team di circa cinque ricercatori, e il mio obiettivo era costruire una squadra di altissimo profilo, capace di operare con competenza sia nell’ambito R&D che nei processi di industrializzazione. Questa fase è stata portata a termine in tempi davvero rapidi. Già nell’aprile 2024 abbiamo ricevuto il via libera per la nuova sede, che è diventata operativa in soli 6 mesi, con la produzione partita a febbraio di quest’anno.
Quali sono le caratteristiche distintive della tecnologia MEA e in che modo state affrontando la sfida della riduzione del carico di iridio nei catalizzatori?
La nostra tecnologia si chiama UFI MEA Technology – Membrane Electrode Assembly – ed è il cuore pulsante degli elettrolizzatori, proprio come Intel lo è per i computer, per fare un paragone. Si tratta di membrane catalizzate, composte da materiali preziosi come l’iridio e il platino, che rendono possibile l’elettrolisi dell’acqua, per la produzione di idrogeno verde, ovvero tramite l’utilizzo di energia rinnovabile; l’elettrolisi inversa, ovvero la produzione di energia pulita dall’idrogeno nelle fuel cell; ma anche la trasformazione di idrogeno e captured CO2 in e-fuel; fino alla compressione elettrochimica per la purificazione, l’immagazzinamento e il trasporto dell’idrogeno stesso.
La UFI MEA Technology ha un ruolo fondamentale. Innanzitutto, è un’innovazione estremamente complessa. Sono pochissime le realtà nel mondo che gestiscono questa tecnologia e in Italia UFI Hydrogen è l’unica. Questo perché utilizza materiali preziosi quali appunto l’iridio che è un elemento imprescindibile come catalizzatore per il processo di elettrolisi. Ha però un difetto, ovvero il prezzo elevato: per dare un riferimento, un chilogrammo può arrivare a costare circa 150.000 euro, anche se il prezzo varia in base al mercato.
Il nostro obiettivo è quello di far evolvere questa tecnologia utilizzando sempre meno iridio, senza compromettere in alcun modo le performance. Questa è la sfida principale. Abbiamo sviluppato un approccio di nano strutturazione e di distribuzione mirata del catalizzatore – iridio ma anche platino – che ci permette di ottenere delle prestazioni elevate con carichi molto bassi. Quando abbiamo iniziato nel 2023 si parlava di tre – quattro milligrammi di iridio per centimetro quadrato. Oggi stiamo vendendo al mercato una tecnologia che ne ha 1 mg/cm². È quella che noi chiamiamo la Gen 1 perché è la prima generazione che abbiamo portato al mercato. Stiamo lavorando già a una Gen 1.5, che ne utilizzerà 0,4 mg/cm², i cui test dovrebbero completarsi entro la fine dell’anno mentre la commercializzazione partirà nel 2026.
Parallelamente abbiamo avviato una prima fase di test per quella che sarà la Gen 2, che utilizzerà 0,1 mg/cm². Si tratta davvero di una riduzione verticale da 4,0 a 0,1. Sebbene siamo ancora in fase di test, possiamo dire che l’’impatto sui costi è notevole. Ad oggi riusciamo a garantire un -30% sul totale del costo. La nostra responsabilità è far evolvere la tecnologia in maniera da rendere l’idrogeno verde parte del mix energetico effettivamente adottabile a livello di costo e competitività economica dall’industria.
Con quali partner collaborate per questa tecnologia?
Il finanziamento IPCEI Hy2Move ci spinge ad avanzare nella ricerca per migliorare sempre di più la tecnologia MEA. Collaboreremo in maniera distinta con alcuni partner, tra cui HDF Energy e il Gruppo Michelin. Con Michelin stiamo sviluppando sistemi avanzati di coating catalitico e materiali innovativi per membrane e polimeri, progettati direttamente da loro. Stiamo proprio parlando di Deep Technology per far avanzare la tecnologia MEA in maniera sempre più innovativa ed efficiente, con un abbattimento dei costi a livello di scalabilità industriale.
Con HDF Energy, invece, la collaborazione riguarda l’apertura di un loro impianto dedicato alla produzione di sistemi a celle a combustibile. La nostra MEA Technology rappresenta il cuore tecnologico delle fuel cell, integrata all’interno delle stack. HDF Energy si occuperà dell’assemblaggio e dell’integrazione dei sistemi completi per diverse applicazioni: dal trasporto marittimo e terrestre, fino agli usi stazionari, che includono soluzioni off-grid per il backup energetico, passando per impianti remoti e infrastrutture critiche.
In quali settori vedete le maggiori opportunità di sviluppo per la tecnologia MEA nei prossimi anni?
Sia il settore dei trasporti che quello delle soluzioni off grid hanno un grandissimo potenziale, ma con tempistiche diverse. Nel breve periodo credo che i Data Center avranno un’enorme crescita, spinti dalla loro elevata domanda energetica. Qui la UFI MEA Technology può offrire soluzioni modulari di Energy Storage basate su celle a combustibile, alimentate da idrogeno verde. L’idrogeno, infatti, è ideale per sistemi di backup off-grid, e la crescente esigenza di energia pulita rende il nostro ingresso sul mercato perfettamente allineato con questa evoluzione.
Per quanto riguarda il settore dei trasporti anche lì il potenziale è elevatissimo. Parlo di trasporto pesante su gomma, ma anche su rotaia. Stiamo vedendo ora il progetto in Valcamonica, dove l’idrogeno è stato scelto come alternativa all’elettrificazione per il trasporto pubblico: in quella tratta, infatti, gli interventi infrastrutturali richiesti sarebbero troppo complessi e onerosi. Anche il trasporto marittimo offre ampie opportunità. Yacht di medie dimensioni e imbarcazioni per laghi possono essere alimentati a celle a combustibile. Fincantieri, ad esempio, ha già integrato sistemi fuel cell a bordo della nave Viking. Infine, l’aviazione a corto raggio rappresenta un altro ambito promettente.
Quando parliamo di logistica, shipping o trasporto a lungo raggio combustibili sintetici, “e-fuel”, ottenuti dalla combinazione di idrogeno verde e CO2 riciclata possono rappresentare un’altra validissima alternativa. Il trasporto di questi e-fuel avverrebbe esattamente come quello dei carburanti tradizionali, con modalità di stoccaggio identiche e senza necessità di adattamenti infrastrutturali. Anche il parco auto esistente potrebbe utilizzarli da subito, senza modifiche. Per questo motivo si parla di tecnologia “drop-in”.
Potete parlarci della nuova sede in Trentino?
Abbiamo inaugurato lo stabilimento in Trentino, vicino a Rovereto, dove c’è un ecosistema molto favorevole per l’idrogeno verde. Il sito copre una superficie di 14.000 m² di cui 6000 coperti che ospitano i laboratori, la parte di prototipazione e, appunto, la parte di produzione industriale.
Trovandosi sull’arco Alpino, il Trentino è caratterizzato da una abbondanza di energia rinnovabile come l’idroelettrico, che è una delle favorite sia in termini di efficienza economica che di continuità produttiva. Le numerose centrali idroelettriche presenti sul territorio offrono energia rinnovabile a basso costo, rappresentando un elemento chiave per lo sviluppo competitivo dell’idrogeno verde, anche in sinergia con solare ed eolico.
A questo si aggiunge il forte sostegno ricevuto da Trentino Sviluppo, che ha creduto fin da subito nel potenziale dell’idrogeno come componente strategica del mix energetico. Grazie a questo supporto, abbiamo potuto avviare il progetto per la realizzazione del nostro impianto industriale.
Infine, ma non per importanza, la Fondazione Bruno Kessler (FBK), con cui abbiamo stretto un accordo strategico. La sua divisione Sustainable Energy è attivamente impegnata nella ricerca sull’idrogeno, e nei prossimi 12 mesi aprirà a Rovereto, a soli 8 km da noi, un centro tecnologico di circa 18.000 m² interamente dedicato all’idrogeno. Il centro sarà focalizzato sulle attività di testing, sia di stack che di elettrolizzatori completi, anche su scala superiore al megawatt.
Quali soluzioni produttive avete implementato per la realizzazione delle membrane UFI MEA, e come intendete evolverle in vista della produzione su scala industriale?
Abbiamo scelto di adottare un approccio tailor made, ma con una precisazione importante: non si tratta di una produzione artigianale su piccola scala. La nostra è una strategia industriale, supportata da impianti flessibili e da un team altamente specializzato. Questo ci permette di rispondere alle esigenze di un mercato ancora privo di standard consolidati, dove le richieste variano notevolmente.
I nostri clienti ci chiedono MEA in forme diverse – rettangolari, quadrate, circolari – e con specifiche variabili in termini di membrana, coating e carico catalitico. Grazie alla nostra capacità produttiva, siamo in grado di soddisfare queste richieste con precisione e su scala industriale. Non produciamo singoli pezzi, ma possiamo realizzare fino a 150–180.000 m² di MEA all’anno, equivalenti a circa 4 – 4,5 GW di potenza di elettrolisi.
Un volume che supera la produzione globale di idrogeno verde dell’anno scorso. Questa flessibilità ci rende tra i pochissimi, forse gli unici, al mondo in grado di offrire soluzioni tailor made su scala industriale. Ogni tecnologia che portiamo sul mercato, dalla Gen 1 già in vendita, alla Gen 1.5 prevista per il 2026, è integrata nello stesso processo produttivo. La Gen 2, invece, seguirà un nuovo processo industriale, ma sempre con la stessa logica di scalabilità. In sintesi, siamo veri player industriali, pronti a guidare l’evoluzione del settore.
A livello europeo, è evidente che il mercato più promettente per l’idrogeno, soprattutto per la sua elevata domanda energetica, è la Germania. È lì che si concentrano molti dei progetti su scala megawatt annunciati negli ultimi mesi, e proprio per questo abbiamo scelto di localizzare il nostro dipartimento Business Development & Sales a Stoccarda, dove operiamo con un ufficio dedicato. Il team è composto da professionisti cresciuti nel mercato tedesco, ben radicati nel contesto locale, che collaborano costantemente con la sede centrale. Le richieste che riceviamo, tuttavia, vanno ben oltre i confini europei. Stiamo dialogando con operatori internazionali, dagli Stati Uniti all’Australia.
Com’è composto il team che lavora a questo progetto e quali competenze avete riunito?
UFI Filters ci ha supportato in questo, soprattutto all’inizio. L’obiettivo, come già spiegato, era ambiziosissimo perché voleva dire creare anzitutto non solamente una legal entity, ma di avviare contemporaneamente un centro di ricerca e una realtà produttiva industriale in un settore di nicchia e ad alta tecnologia. La difficoltà principale era trovare rapidamente competenze altamente specializzate e, ancora più difficile, convincere queste persone a unirsi a un progetto che non esisteva ancora, in una sede poco conosciuta come il Trentino. L’anno scorso, quello che abbiamo fatto è stato quasi un miracolo: siamo passati da 5 a circa 40 persone, assumendo talenti da tutto il mondo. Non solo dall’Italia, ma anche da Stati Uniti, Regno Unito, Ucraina, Macedonia, Polonia e Iran.
Oggi il nostro team conta ricercatori e ingegneri, un top talented team di oltre undici nazionalità. Abbiamo messo insieme competenze in elettrochimica, materiali avanzati e ingegneria di processo, creando un ambiente davvero multiculturale e multidisciplinare. La diversità è diventata un valore fondamentale, una fonte di ricchezza e innovazione per UFI Hydrogen. Personalmente, come Amministratore Delegato, sono orgoglioso di poter contare su questa varietà di esperienze e prospettive che rendono il nostro progetto unico.








