In seguito allo scoppio della crisi Russo-Ucraina, non è più un mistero il ruolo cruciale dell’idrogeno all’interno dei piani strategici di diversificazione e sicurezza energetica avviati dall’Unione Europea che, entro il 2030, prevede di produrne internamente fino a dieci milioni di tonnellate da fonti rinnovabili.
E non solo. Lo scorso anno, infatti, la Commissione aveva annunciato l’intenzione di importarne altre dieci milioni di tonnellate dai propri partner globali. Idrogeno che sarà principalmente impiegato per dare un contributo significativo alla decarbonizzazione dei settori industriali hard to abate (come acciaierie, raffinerie petrolchimiche, trasporti, etc).
Un piano ben delineato dall’Unione Europea ma che presenta ancora problematiche non indifferenti, soprattutto a livello economico, normativo ed ambientale. Ad oggi, il costo dell’idrogeno verde è ancora elevato (soprattutto se relazionato con quello blu e grigio, non proprio il massimo in termini di emissioni zero) e solo l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie potrà contribuire alla naturale riduzione dei costi.
Per creare una filiera forte e competitiva occorrerà, inoltre, costituire un quadro normativo “internazionale” dell’idrogeno e sviluppare un piano di incentivi, capace di sostenere i progetti europei lungo tutta la catena del valore H2.
Tutto ciò richiederà naturalmente tempo, investimenti e “un’apertura mentale” anche da parte dei nostri leader politici. Al target 2030 mancano poco più di sei anni ormai e se, da una parte, il focus verso l’idrogeno da fonti rinnovabili (solare ed eolico) è sicuramente la direzione giusta da percorrere, dall’altra potrebbe non bastare.
Ne è convinto Andrea Bombardi, Carbon Excellence Reduction Executive Vice President di RINA SpA, recentemente intervenuto alla Hydrogen Experience, un evento organizzato da Federchimica Assogastecnici lo scorso 12 Giugno 2023 presso l’Autodromo di Vairano (PV).
Secondo Bombardi “RINA lavora su tutta la filiera dell’idrogeno e l’obiettivo europeo delle 10 milioni di tonnellate entro il 2030 è assai ambizioso. Le rinnovabili sono il collo di bottiglia e non bisogna pensare solo alla relazione idrogeno-rinnovabili ma occorre cercare strade alternative, come ad esempio l’idrogeno ricavato da energia nucleare”. I vantaggi “riguardano la produzione e lo spazio sicuramente ridotto rispetto a un parco fotovoltaico. Ad oggi fa ancora paura parlare di nucleare ma non è più quello di un tempo. Se vogliamo davvero portare idrogeno nelle industrie altamente energivore dovremo disporre di grandi quantità di idrogeno verde in modo sicuro e continuativo. Pensiamo agli small module reactor potenzialmente collegati ad elettrolizzatori ad ossidi solidi ad alta efficienza”.
Riguardo l’importazione di idrogeno verde in Europa, Bombardi ha inoltre aggiunto: “Dobbiamo iniziare a ragionare sul mercato globale dell’idrogeno e trovare una normativa comune. In primis gli incentivi che aiuteranno a far crescere la domanda, la filiera e preparare i nostri porti all’importazione di idrogeno verde. Molti porti in Europa già lo stanno facendo, come ad esempio quello di Rotterdam”.